Le architetture di Salgótarján: ecco dove sopravvive il Comunismo
Salgótarján è una città congelata in un passato filosovietico che si racconta attraverso le sue architetture monotone, spoglie e ormai in lento decadimento.
Giungere a Salgótarján dopo aver attraversato le silenziose steppe della puszta ungherse è come essere catapultati in un ex mondo futuristico in pieno stato di abbandono. La città è dormiente, retaggio di regime mai del tutto sopito. Completamente distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale, Salgótarján cadde in mano agli architetti filorussi che la trasformarono in un avamposto di geometrie staliniste. Impresa pienamente riuscita.
In periferia, latitano magre carcasse di vecchie industrie ormai dismesse e alte ciminiere che svettano come trampolieri. Il centro non-storico cittadino, invece, pullula di edifici grigi e sterili che appaiono per cosa realmente sono: cubi di cemento traforati, parallelepipedi conficcati nel terreno, strutture poliformi private di ogni senso logico-strutturale. E le strade, intanto, scorrono diritte tagliando il tessuto urbano nel tentativo di condurre fuori anziché trattenere.
Eppure questo luogo, probabilmente dimenticato anche dai suoi stessi creatori, porta con sé un certo fascino di buona fede mal riposta. O forse è solo nostalgia verso qualcosa che doveva essere, ma che non è mai stato. E le persone? Assolutamente incolori. Una malinconia in declino fotograficamente imperdibile.
Google Maps
Salgótarján
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