Non passate da Tornal’a a meno che non siate degli antropologi
Tornal’a è un crogiolo sonnacchioso e disordinato di volti stanchi, abitazioni precarie e vecchie ciminiere. Non è un luogo bello. E’ un luogo vero.
Il passaggio dall’Ungheria alla Slovacchia, transitando per la piccola città di Bánréve, è una fredda doccia di spilli. Il cambiamento dell’ambiente naturale, degli edifici, di colori, profili, volti e odori è quasi traumatico. Come il confine di Stato: un non-luogo lasciato alla follia del tempo che l’ha corroso, frantumato e levigato. Attraversatelo al tramonto: la magia del sole calante che penetra da quelle finestre rotte renderebbe affascinante anche il profilo di un boia. E in alto sulla destra, dentro un gabbiotto di vetri e sospeso a mezz’aria, potreste anche riuscire a scorgere il profilo di una sagoma scura appoggiata allo schienale della sedia, intenta a fissare un punto immaginario sopra la sua testa. Una semplice guardia. Io lo definierei un disperso. Un relitto ancorato a un passato che non vuole passare.
Abbandonato il cross border fantasma, inizia un lungo rettilineo che si srotola a perdita d’occhio, tra distese immense di prati verdi, ampie valli e colline boscose. Ma non un anima si incontra, non una casa. Nessuno. Niente.
Il primo paese che si attraversa è Tornal’a, una città che sembra tenuta insieme col Vinavil: strade intrise di polvere, muri precari, piante secche, viali spogli. Una noncuranza dilagante da far fuggire anche i topi. O da farli ballare. Le poche cose che si incontrano sono vecchi edifici ombrosi che oziano accanto a nuovi palazzi post-modernisti e ragazzi che giocano a pallone in fazzoletti di terra erbosa dove al posto dei fiori crescono oggetti inclassificabili.
I volti delle persone sono scuri come le fosse delle Malebolge e hanno lineamenti consumati, espressioni irrigidite e gli occhi taglienti di un bianco penetrante. Il colore della loro pelle ricorda le tinte bruciate delle steppe e i profumi pungenti delle spezie. Nell’osservarli, ci si ricorda delle parole di Bram Stoker, quando descrive gli uomini scuri che trasportano instancabilmente le casse negli antri sotterranei del Castello del Conte Dracula…
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